Ciò che è successo negli Usa è il segno inequivocabile di un fenomeno che dura ormai da venti anni.
La sinistra di tradizione socialdemocratica, essendo subalterna alla cultura neoliberista e al feticcio della globalizzazione senza regole, ha abbandonato progressivamente, fino a distaccarsene quasi del tutto, i suoi ceti sociali di riferimento: quel popolo che deve lavorare per vivere, che era tradizionalmente la sua base sociale.
Soprattutto ha smesso di coltivare un'idea di mondo alternativa a quella della destra (tanto protezionista, tanto neoliberista):, anzi, con quest'ultima ha finito sempre più con l'assomigliarsi, finchè i suoi referenti sociali di riferimento non sono più riusciti a distinguere la sinistra dalla destra.
Hillary Clinton è esattamente il ritratto di quanto appena detto: in questa campagna elettorale, la first Lady guerrafondaia, fan delle dottrine economiche più smaccatamente liberiste, è stata in questa pienamente fedele al suo background politico e culturale.
Purtroppo, le primarie non hanno visto prevalere Bernie Sanders, un compagno dal profilo opposto: socialista, con un'idea alternativa di mondo. Capace di parlare a quel popolo di cui prima scrivevo, Sanders riusciva a coniugare cultura di movimento, di lotta e alternativa di governo. Tutte cose non da poco negli Stati Uniti, dove già solo il definirsi socialista è un atto di coraggio notevole.
Serviva rompere con l'establishment, con le oligarchie e con una sinistra oligarchica, fondta sui finanziamenti alle fondazioni da parte dei poteri forti e sulla cooptazione per fedeltà: purtroppo non è successo.
Trump ha coperto uno spazio politico unendo queste istanze all'intolleranza xenofoba, al protezionismo economico, al forte richiamo nazionalista (che sempre sostituisce quello di classe quando questo non è indirizzato in senso nazionalpopolare). Il risultato è stata una vittoria larga nei numeri, scaturita proprio dal consenso di coloro che noi dovevamo rappresentare e ancora di più far partecipare, coloro che vivono di economia vera, contrapposti a quelli dell'economia di carta, finanziarizzata. E quando dico noi è perché questo sta avvenendo anche in Europa, Italia compresa.
La destra populista unisce coloro che la crisi proletarizza sempre di più, mentre la sinistra moderata si pone come cane da guardia delle élites, mentre quella radicale si consola con una comoda testimonianza identitaria e una subalternità alle forze moderate, definendosi solo per contrarietà a loro.
Serve una sinistra larga, modernamente socialista, capace di mettere l'orecchio a terra, di ascoltare ciò che bolle nella società, di prevenire queste ondate populiste.
Serve una sinistra che ridia un'alternativa di mondo, di governo, vivendo le lotte e organizzandole, elaborando il malcontento del paese reale, una sinistra utile e pronta alle sfide secolari che il mondo ha di fronte.
Saranno quattro anni pieni di incognite: noi, dal nostro punto di vista, possiamo solo lavorare per cominciare a costruire unità sociale e politica del nostro campo.