Una Patria senza Matria.
La Costituzione repubblicana e il problema dello Stato senza nazione
La peculiarità del Risorgimento è stata di aver costruito uno Stato senza una nazione: l'Italia, dunque, è una «Patria» senza «Matria», (per riprendere un'antica distinzione di Sergio Salvi).
«Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani» affermava d’Azeglio, il quale, per «fare gli italiani» intendeva il liberarli dai vizi della indisciplina, irresponsabilità, pusillanimità e disonestà ed instillare in loro ciò che egli chiamava «doti virili».
È, infatti, in questi termini che il principio di nazionalità è diventato un fattore qualificante degli ordinamenti statali moderni, prima nel senso etnocentrico di «blut und boden» (terra e sangue) e come «fattore di esclusione e ripudio del riconoscimento di altre e differenti identità culturali» presenti nella Penisola, poi, dopo l'Unità, trovando «nella cultura in senso largo il sinonimo della civiltà peculiare del nostro Paese» secondo il paradigma evidenziato da d'Azeglio.
Il problema della inesistenza originaria di una nazione italiana ha iniziato a risolversi, in termini inclusivi e progressivi, solo con l'approvazione della Costituzione repubblicana, che ha posto fine alla millenaria lotta lessicale sul concetto di popolo, per molti secoli identificato nel significato di ‘discendenza’ in senso etnico ovvero culturale.
Mediante una scissione del concetto di popolo da quello di nazione, che ha portato a riconfigurare il primo nei termini di una «’assemblea che decide’ compiendo un’attività, specie se di rilievo costituzionale, non neutrale, ma sempre orientata», la Costituzione ha adottato quale «Matria» della Repubblica la peculiare forma di cultura che accomuna il genere umano, rappresentata dalla civiltà del lavoro, così finalmente consentendo di fondare la res publica come res populi.