L'Ilva di Taranto rappresenta al meglio tutte le contraddizioni del capitalismo straccione all'italiana.
L'Ilva è il cuore della città e della provincia di Taranto che di Ilva vivono e muoiono, essendo la stessa fabbrica che avvelena le popolazioni del luogo. I politici (ed i sindacalisti, ingiustamente contestati in questi giorni) lo hanno sempre saputo, ma tant'è.
Quel che è triste è che la sinistra taccia sul fatto che questa devastazione è l'ennesima opera del capitalimo arraffone all'italiana. Lo stesso che dopo la deprecabile privatizzazione del Italsider (perché ha regalato a padroni e padroncini incapaci un settore stretegico come l'acciaio) ha fatto guadagni, infischiandosene di fare violenza ai lavoratori e all'ambiente pur di massimizzare i profitti. La città ha risposto rabbiosamente alla chiusura, indirizzando il proprio malcontento contro tutti e tutto: sindacati e politici in primis, divisi ed incapaci finora di intercettare quella rabbia.
Viene da chiedersi: è così difficile proporre la nazionalizzazione dell'Ilva?
E dire che un comparto così importante non può essere lasciato ai privati, oltretutto dopo che ci stiamo sobbarcando i costi di bonifica?
E' tanto difficile proporre la gestione dell'Ilva di Taranto ad un comitato di cittadini e lavoratori che insieme decidano su strategie produttive e ambientali e quindi gestiscano la fabbrica? Cose dell'altro mondo - dirà qualcuno - eppure in Argentina, ad esempio, sono realtà quotidiana.
E' davvero significativo della situazione che solo Giorgio Cremaschi (No Debito - ex Fiom) e Marco Ferrando (PCL) abbiano fatto tali proposte: un altro segno dell'incapacità di pensiero critico e di alternatività di proposta della sinistra. Il coro soddisfatto per Monti che terrà aperto lo stabilimento bonificandolo, ma senza fare pagare niente ai Riva - che a quanto pare hanno bruoni amici anche in politica - va dal PDL a Ferrero. Sono fatti come questo che pongono pesanti ombre sul futuro di un autonomo e non marginale pensiero anticapitalista.